Curare una malattia con un’altra: pazzia o realtà?
A voi sarebbe mai venuto in mente che, un modo per curare una malattia, potesse essere quello di infettare l’ammalato con un’altra malattia?
Certo oggigiorno una cosa simile sarebbe assurda perché siamo in grado di capire come funziona una determinata malattia e, se esiste, trovare un modo per debellarla.
Ma nel passato l’idea di curare una malattia incurabile con un’altra in qualche modo più gestibile non era proprio un’idea da scartare. Ed è quello che successe alla sifilide.
La sifilide
La sifilide è una malattia a trasmissione quasi esclusivamente sessuale causata da un batterio, il Treponema o spirocheta pallidum che è attualmente curabile con dei semplici antibiotici ma che, prima dell’avvento della penicillina, era incurabile.
A inizio del XX° secolo si calcola che dal 5% al 20% della popolazione europea ne fosse affetta e la gente si ammalava e moriva.
Ma prima di morire passavano spesso decine di anni e, in questi anni, per gli ammalati vi era il supplizio delle manifestazioni cliniche della sifilide che, tra le altre cose, dava lesioni distruttive al volto, il famoso “naso sifilitico”, e questa deformità era così comune che nell’ottocento nacquero i così detti “No Nose Club” ossia “i club dei senza naso” dove si riunivano quelli appunto affetti da sifilide.
Figura 1 – Protesi per nascondere il foro causato dalla mancanza della cartilagine nasale erosa dalla malattia
Ma soprattutto vi era la neurosifilide, una sintomatologia a livello del sistema nervoso centrale che causava e causa demenza, paralisi e disturbi psichiatrici tant’è che all’inizio si pensava fosse una malattia a sé stante chiamata, non a caso, demenza paralitica.
La sifilide non trattata era talmente terribile nella sua sintomatologia che nel 1497 Alessandro Benedetti, un medico veneziano, mettendola a confronto con l’altro ripugnante male antico, la lebbra, descrive così quella nuova malattia:
«…tramite contatto venereo è giunta a noi dall’Occidente una malattia nuova… tutto il corpo acquista un aspetto così ripugnante, e le sofferenze sono così atroci, soprattutto la notte, che questa malattia sorpassa in orrore la lebbra…»
A fronte di tutto questo “orrore” non deve sembrar poi strano che tra i vari tentativi per cercare di risolvere questo problema, uno di questi sia stato quello di cercare di sconfiggere la sifilide utilizzando appunto un’altra malattia.
E paradossalmente la cosa non solo non era un’idea campata per aria ma ebbe anche un discreto successo.
Finalmente una cura
Tutto nacque dall’osservazione di un medico austriaco, Julius Wagner-Jauregg su alcuni pazienti psichiatrici ammalati di neurosifilide che erano inspiegabilmente guariti dopo un’intensa febbre.
La spiegazione data fu, giustamente, che la spirocheta pallidum non riuscisse a sopravvivere a temperature superiori a 41 gradi.
Ma cosa usare per provocare volutamente una febbre così alta ai pazienti riuscendo poi a fargliela passare una volta ucciso il batterio della sifilide?
Venne in aiuto un’altra malattia endemica dell’epoca: la malaria. La malaria, è una malattia provocata da un protozoo che, nella fase acuta provoca rialzi termici molto alti ma è una malattia gestibile con il chinino fin dai primi anni del 1600.
L’idea di Wagner-Jauregg fu quella appunto di inoculare la malaria a questi pazienti, far venire loro un febbrone da cavallo e poi curarli con il chinino una volta che il virus della sifilide fosse morto.
Dalle stelle alle stalle
I risultati furono talmente incoraggianti che nel 1927 a Wagner-Jauregg venne conferito il premio Nobel per la sua scoperta sul “valore terapeutico dell’inoculazione della malaria nel trattamento della demenza paralitica“.
Ma il destino, si sa, è spesso crudele e beffardo e questo trattamento così atteso e ricercato per debellare l’”orrore” era destinato a essere surclassato nel giro di una decina d’anni dall’introduzione della penicillina che permise di trattare definitivamente la sifilide senza complicazioni per i pazienti.
William Osler, il padre della medicina moderna (1902) in un suo aforisma, scrive: “La filosofia di un’era diventa l’assurdità di quella successiva”; che si adatta perfettamente alla terapia inventata da Wagner che nel giro di un decennio passò dal meritare un Nobel al diventare completamente inutile e anzi assurda al solo pensiero.